MARCO GROSSO

Marco Grosso

Marco Grosso (Napoli, 22/01/1976), è laureato e dottorato in Filosofia a Napoli, insegna presso il Liceo Artistico di Vignanello (VT). Nel 2013 pubblica con Aracne Editrice la silloge “Muta Musa”. A partire dal 2014, attratto dalla magia della “scrittura di luce” inizia a dedicarsi alla fotografia e alla riflessione sul legame tra fotografia, poesia e filosofia. Tra il 2015 e il 2016, approfondisce la sua idea di foto-poesia o photo-poiesi come singolare forma di “scrittura” ibrida scaturente dal fecondo e intimo intreccio tra un approccio “lirico” alla scrittura fotografica e un approccio “fotografico” alla scrittura lirica, dal tentativo funambolico di sfuggire sia alla facile caduta didascalica (il testo chiamato a descrivere l’immagine) quanto alla sterile caduta illustrativa (l’immagine usata per illustrare un testo).

I suoi tre progetti foto-poetici, articolati in percorsi tematico-concettuali ed esposti in alcune mostre personali allestite tra il viterbese e Rossano Calabro (radice materna) sono stati “Sul Filo dell’Ombra” (2017), “Animae Silvae” (Gennaio 2018) e “di Pietra e di Carne” (Agosto 2018).

visiOn

Ci sono luoghi che trovi solo nella notte. Ci sono entità che incontri solo nelle tenebre. Il sogno è la loro alcova. Anime erranti rubate a purgatori mentali, che al mattino si dissolvono come bolle di sapone, lasciano briciole che il giorno divora.

Nelle sue foto si racconta qualcosa di più sottile della solitudine: smarrirsi in mare aperto. Si raccontano quotidianità, persone viste di spalle, simboli: non in modo silenzioso, circospetto, malinconico. Lo si racconta in urlo, in un sussulto, in un boato improvviso di silenzio. Catia non fotografa un’impressione fugace che sorprende ma un’espressione dell’anima che invade. Il contesto è un pretesto, una svista: non è il paesaggio o la situazione rubata ad accarezzare l’emozione, ci prende l’intuizione della composizione momentanea, l’urgenza febbrile del pathos. I colori vengono spesso velati dall’uso sapiente del bianco e nero, oppure servono a comporre un giorno di pioggia o bottiglie vuote: una tradizione spagnola fa rinchiudere, dentro bottiglie di vetro, le paure. Catia le racchiude in modo sdrucciolo in una foto: visioni di un purgatorio di anime vaganti.

Catia ci trascina in questa ossessione, di cui lo scatto la libera e ci libera per un attimo, per poi restare ancora una volta naufraghi… Incroci i suoi occhi e avvisti terra.

(Albano Ricci)

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